Maturità personale e Sequela Christi
Relazioni personali, conoscenza di sé e relazione con Dio nella vita del chierico
La formazione sacerdotale e religiosa, sia iniziale sia permanente o continua, è sempre un tempo di maturazione che mira ad integrare tutti gli aspetti della personalità e, soprattutto, a consolidare la propria identità come sacerdote/religioso. Questa maturazione favorisce, permette, fa spazio alla grazia, per la conformazione a Gesù Cristo, maestro e modello di vita consacrata. Non si può pensare ad una Sequela Christi che prescinda da questo processo di maturazione, altrimenti mancherebbero le basi. Per proporre, nel cammino formativo, uno stile relazionale come quello di Gesù, occorrono processi di autoconoscenza, di integrazione della propria storia, della propria personalità e, infine, di sviluppo della propria interiorità. La capacità relazionale si sviluppa nella misura in cui c’è anche uno sviluppo integrale della personalità. Questo processo di integrazione, naturalmente, implica tutte le dimensioni della formazione.
Maturità personale e conoscenza di sé
La formazione dei consacrati non deve pretendere discepoli perfetti. Maturità non è sinonimo di perfezione. Sarebbe un grande sbaglio definire la maturità di una persona come perfezione. L’idea di perfezione, anche se nel cuore della definizione della vita consacrata (intesa come Perfectae Caritatis), resta un ideale che suscita una sana tensione tra ciò che l’uomo è qui e ora – compresa la sempre presente ambivalenza del cuore – e ciò che è chiamato ad essere. La domanda che dovrebbe orientare l’opera formativa continua non è: “come cancellare il limite e la fragilità umana”. Non sarebbe cristiano. Dio non ha ignorato l’imperfezione dell’uomo, anzi, in Gesù Cristo, Dio ha voluto assumere la nostra condizione umana per redimerla. La domanda, piuttosto, dovrebbe essere: “come vivere l’imperfezione in modo maturo?” A quest’ultimo interrogativo, il primo tentativo di risposta è conoscendo l’imperfezione stessa.